Avrei voluto fare un giro turistico nel suo quartiere.
Lei mi guardò con stupore, ancora non riusciva a credere che ci fosse gente che amava trascorrere le proprie vacanze a Berlino.
Prendemmo la S-Bahn alla stazione di Friedrichstrasse.
Quando scendemmo a Prenzlaurberg, mi accompagnò in un giro sommario del quartiere, gironzolando qua e là.
Sostammo a lungo dinanzi ad un cinema chiuso subito dopo la riunificazione.
Passammo davanti ad uno spiazzo, un tentativo di giardino, con una statua di bronzo in mezzo.
Non ne ricordo più il nome.
Volli sapere chi fosse. Un comunista celebre, mi rispose.
Un caffé al November.
Superammo i giardini oltre l'ingresso della stazione, svoltammo varie volte a destra e a sinistra.
Le case erano vecchie e scrostate, ma avevano comunque il volto di un'antica bellezza, di un gusto che non si trova ovunque, specie nella parte orientale di Berlino.
Quando ritornai a Berlino anni dopo, volli rivedere quelle strade.
Le case non sono più scrostate, tutto è stato ridipinto e ristrutturato.
Ma il fascino era rimasto intatto.
Una mite giornata di primavera, con il sole tedesco che non scaldava e poco vento.
Seduti su una panchina le raccontai di me, della mia vita in Italia.
Ma lei mi racconto sempre poco della sua vita berlinese, qualche aneddoto forse e poco altro.
Era preoccupata delle insegne pubblicitarie luminose che poco a poco comparivano in città, rendendo minuscole e quasi invisibili i vecchi prodotti della Germania Orientale.
Un simbolo dell'invasione, secondo lei.
Quando poi, durante i miei soggiorni, nel tardo pomeriggio prendevo la s-Bahn, guardavo tutti gli impiegati che tornavano a casa dal lavoro e pensavo a quante volte anche lei fosse salita su quei treni, al posto magari di quella signora un po' grassoccia che davanti a me stringeva la borsa.
E a quanti, come me adesso quella signora, l'avevano guardata.
Minuzie quotidiane.